LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE STRAORDINARIE DELLA PROLE
I RAPPORTI DEI GENITORI CON I FIGLI NATURALI
LA COMPETENZA PER TERRITORIO NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO
1)
LA SEPARAZIONE LEGALE Preliminarmente va evidenziato che se uno dei coniugi chiede la separazione legale, l’altro
non si può opporre, se non deducendo che il matrimonio è felice, in clamoroso contrasto quindi con l'altro coniuge che denuncia
invece l'impossibilità di proseguire la convivenza.
E’ auspicabile che la separazione avvenga in modo pacifico,
trovando i coniugi un accordo sugli aspetti patrimoniali e soprattutto sulle condizioni relative alla prole. Per definire
la separazione in modo consensuale, ovviamente i coniugi devono raggiungere un accordo completo su tutte le condizioni della
separazione. Quando vi sono questioni da risolvere, può essere d’aiuto l’intervento di un professionista, possibilmente
esperto nel settore, che interpretando le diverse esigenze riesca a pervenire alla formulazione di un atto che entrambi i
coniugi possano accettare. Nel caso in cui uno dei due coniugi ritenga (a ragione o a torto) che le condizioni richieste
dall’altro siano troppo gravose, può rifiutare l’accordo e scegliere una procedura contenziosa (ognuno dei coniugi,
infatti, ha il diritto e il dovere di non accettare le clausole ingiuste).
In caso risulti impossibile pervenire ad
un accordo, i destini e gli interessi della famiglia (e soprattutto dei figli, che non parteciperanno neppure alle udienze)
verranno decisi da un terzo estraneo, cioè da un giudice Ma ciò solo al termine di una estenuante battaglia incentrata
su una procedura giudiziale. Il nostro legislatore infatti non ha riconosciuto alcun privilegio procedurale alle cause
matrimoniali, per cui valgono le stesse regole stabilite per tutti gli altri procedimenti civili. Insomma, nel processo
matrimoniale viene utilizzata la stessa identica procedura che si deve seguire per il risarcimento da danno stradale! Se
uno dei coniugi lo chiede, il Tribunale dovrà pronunciarsi anche sulla responsabilità del fallimento del matrimonio dichiarando
cioè a quale coniugi vada addebitata in ragione del suo comportamento contrario agli obblighi coniugali. Ovviamente, per giungere
a tale pronuncia, dovranno essere fornite prove di tale comportamento, normalmente mediante testimonianze, per cui l’istruttoria
è destinata ad avere tempi lunghi (ammissione delle prove, audizione dei testi, con rinvio delle udienze). Ciò comporterà
un lungo periodo di grande stress (dovendo ognuna delle parti rievocare la vita vissuta insieme nel passato). L'istruttoria
non potrà non evidenziare gli avvenimenti più tristi (e dolorosi) della trascorsa vita in comune ed in generale l'animo delle
parti vivrà una scissione ancora più profonda, che renderà impossibile una eventuale futura riconciliazione Occorre quindi
che nell'impostazione della procedura, con l'assistenza di un legale competente ed equilibrato, si valutino con grande attenzione
i pro ed i contro, soprattutto considerando il superiore interesse dei minori, i quali, a causa dei rapporti velenosi tra
i genitori nel corso del giudizio, potrebbero riportare traumi irrimediabili
2) LA SEPARAZIONE
CONSENSUALE La separazione consensuale presuppone un completo accordo sulle condizioni della separazione. Spesso
appare necessario l'intervento di un professionista che, interpretando le contrapposte esigenze delle parti, possa fare da
arbitro tra di loro, predisponendo un ricorso contenente clausole che possano essere accettate da entrambi. Nel contrasto
sulle clausole, si rende necessario l’intervento di due difensori, che possano tutelare gli interessi di entrambi i
coniugi.
La volontà di separarsi non deve essere giustificata. Il giudice dovrà solamente verificare la fermezza della
decisione anche di uno solo dei due coniugi. La norma prevede che sia pronunciata la separazione “essendosi verificati
fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza” Questa frase così articolata sta a significare
che è sufficiente la volontà di uno solo dei coniugi per rendere inevitabile la separazione.
3)
L’ADDEBITO Su richiesta di una parte, il tribunale può attribuire la responsabilità del fallimento del matrimonio
a carico dell’altro coniuge che abbia tenuto un comportamento in violazione agli obblighi reciproci, pronunziando la
separazione "con addebito". In tale ipotesi, il coniuge cui viene addebitata la separazione perde il diritto al mantenimento
(conservando comunque quello di ricevere gli alimenti, se ne ricorrono le condizioni). Per determinare l’addebito, occorre
però effettuare un’istruttoria durante la quale è necessario fornire la prova della “colpa”. Tale procedura,
che implica un notevole aumento dei tempi del procedimento, comporta anche grandi stress e sofferenze morali. L'istruttoria
richiede prove testimoniali in cui si debbono evidenziare i fatti colpevoli delle parti, che hanno determinato il fallimento
del matrimonio. Quindi si debbono portare alla mente i momenti più burrascosi ed umilianti della vita in comune. Non è
raro che ognuna delle parti pretenda che sia stato il comportamento dell’altro a rendere inevitabile la separazione,
chiedendo perciò l’addebito dell’altro: È anche possibile che il tribunale pronunci una sentenza di attribuzione
dell’addebito ad entrambe le parti. Un tale giudizio comporta necessariamente un inasprimento degli animi delle parti,
con una pesante ricaduta sulla psicologia in costruzione dei figli minori, i quali da una lotta senza esclusione di colpi
dei genitori possono riportare traumi difficilmente cancellabili.
4) L’ADULTERIO La
fedeltà tra i coniugi costituisce uno dei doveri fondamentali derivanti dal matrimonio (probabilmente il più importante) In
passato, tale dovere era considerato sotto l’aspetto fisico ed assumeva un valore così rilevante che erano previsti
due diversi reati a carico del coniuge che violava detto obbligo. L’art. 559 c.p. disciplinava il reato di “adulterio”
a carico della moglie che avesse tradito il marito, punendola con la reclusione fino ad un anno. L’art. 560 c.p.
disciplinava il reato di “concubinato” a carico del marito, che avesse convissuto more uxorio con altra donna,
punendolo con la reclusione fino a due anni. Nel primo caso, elemento costitutivo del reato era il rapporto sessuale (quindi
un reato istantaneo, che si perfezionava con il compimento dell’atto), nel secondo un comportamento che si protraeva
nel tempo (reato continuato). Ovviamente i partners dei coniugi concorrevano nel reato. La previsione dei due reati
costituiva già negli anni 60 un clamoroso caso di miopia legislativa, considerato che due comportamenti identici erano punibili
o meno a seconda dei diversi sessi. Infatti, con due famose sentenze del 1968 e 1959, la Corte Costituzionale ha dichiarato
costituzionalmente illegittimi i due articoli, sul rilievo della disparità di trattamento tra uomo e donna. Successivamente,
il Parlamento avrebbe potuto disciplinare in modo diverso i due reati, attribuendo lo stesso rilievo all’atto sessuale
o al concubinato con persona sposata, ma ha ritenuto di non intervenire, così i due reati sono scomparsi dal nostro ordinamento.
Probabilmente i tempi erano maturi perché i detti comportamenti, pur censurabili moralmente, non rivestissero più la figura
di reato. Insomma, sarebbe oggi anacronistica una condanna penale per aver compiuto un atto sessuale con persona adulta
consenziente. Quindi la violazione del dovere di fedeltà non comporta più , un’ipotesi di reato. La violazione
di tale dovere può invece determinare rilevanti conseguenze in campo civilistico, rivestendo la fedeltà tra coniugi un valore
non solo giuridico, ma soprattutto morale e socialmente rilevante (specialmente in presenza di una legislazione divorzistica):
la giurisprudenza le attribuisce il significato di lealtà, intesa quale impegno reciproco di non tradire la fiducia dell’altro
coniuge. L’adulterio può costituire il fondamento della richiesta di addebito della separazione. E’ però necessario
che la crisi coniugale sia stata la conseguenza diretta della violazione, avendo determinato l’intollerabilità della
convivenza o il pregiudizio per la prole. Lo stesso concetto di adulterio si è modificato nel corso dei tempi. Negli anni
50 coincideva con la consumazione dell'atto sessuale, mentre in seguito si è affermata la possibilità dell'adulterio sentimentale
o platonico. Infatti anche tale forma di adulterio può far venire meno il patto di fiducia che lega due coniugi. Quindi
è ipotizzabile l'addebito per violazione del dovere di fedeltà. anche nel caso in cui una persona coniugata effettui uno scambio
di corrispondenza "romantica" via internet con persona mai incontrata di persona, sempre che si tratti di un comportamento
ingiurioso per l'altro coniuge (Cass.n.9742/99). Peraltro, ai fini della pronuncia di addebito, va provato che l'intollerabilità
della convivenza è dipesa da tale comportamento ingiurioso.
5) SEPARAZIONE E DIVORZIO La
separazione personale dei coniugi introduce una fase di quiescenza del rapporto matrimoniale, con l’attenuazione o l’eliminazione
di alcuni degli specifici obblighi derivanti dal matrimonio. Non comporta però lo scioglimento del matrimonio. Esime i
coniugi dall'obbligo della coabitazione, che anzi viene imposta (non potendo sussistere una separazione tra i coniugi senza
la “separazione dei corpi” che avviene principalmente con il cambiamento della residenza). Con la separazione
scompare anche il dovere di reciproca fedeltà (che senza dubbio rappresenta il maggiore impegno matrimoniale), mentre permane
l’obbligo della reciproca assistenza, di difficile identificabilità. Tra i coniugi separati permangono tutti i rapporti
patrimoniali, come la qualifica di erede (che invece si perde con il divorzio), e la pensione di reversibilità (che spetta
anche all’ex coniuge divorziato, a condizione che sia titolare di assegno divorzile).
6)
LA RICONCILIAZIONE Per la riconciliazione non sono previsti né l’intervento del giudice né formalità particolari.
E' invece previsto un atto formale e pubblico per la separazione, con l’intervento dell’autorità giudiziaria Ovviamente
la riconciliazione presuppone che precedentemente abbia avuto luogo la separazione dei coniugi. L'art. 157 c.c. prevede
l’ipotesi della “sentenza di separazione”, cui va parificata l’omologazione della separazione consensuale. Rimarrebbero
al di fuori della previsione legislativa la separazione di fatto e l’autorizzazione a vivere separati da parte del Presidente
del Tribunale emessa (con i provvedimenti provvisori ed urgenti) all’inizio della procedura di separazione. L’art.
157 c.c. dispone che "I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione senza che
sia necessario l'intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile
con lo stato di separazione (come generare un figlio, N.d.R.). La separazione può essere pronunciata nuovamente soltanto
in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione". Tralasciamo in questa risposta la trattazione
degli “effetti della sentenza di separazione” (cui come detto va parificata la separazione consensuale) perché
si tratterebbe di un discorso che ci porterebbe lontani. I REQUISITI DELLA RICONCILIAZIONE La riconciliazione dei coniugi
implica, oltre al perdono delle colpe precedenti, anche il completo ripristino della convivenza coniugale mediante la ripresa
dei rapporti che caratterizzano il vincolo matrimoniale e che sono costituiti dalla comunione materiale (intesa come comune
organizzazione domestica) e spirituale (intesa come animus di riservare al coniuge la posizione di esclusivo compagno di vita
e di adempiere ai doveri coniugali). Non è quindi sufficiente il concepimento di un figlio per dimostrare l’avvenuta
riconciliazione. Infatti il concepimento può risultare frutto di un incontro casuale, oppure a seguito di una particolare
occasione (magari a seguito dei normali incontri tra genitori separati per parlare delle problematiche relative ai figli),
che non abbia implicato la volontà di riprendere la comunanza di vita con l'altro. D’altronde la giurisprudenza è
pacifica sul punto. Personalmente mi è capitato in varie cause di divorzio che le parti avessero messo al mondo figli durante
il periodo della separazione: anche in tali casi, il divorzio è stato pronunciato senza problemi. Ricordo che comunque
la riconciliazione rappresenta una formale eccezione (alla domanda di divorzio) che va ritualmente proposta DALLA PARTE INTERESSATA
(e provata in corso di causa). Pertanto in mancanza di apposita eccezione, e in mancanza della prova della riconciliazione,
fondata sui requisiti sopra precisati, non possono considerarsi cessati gli effetti della separazione. In ogni ipotesi,
la situazione dovrà essere evidenziata nel ricorso introduttivo del divorzio, sia perché l'art. 4, comma 4 della legge sul
divorzio prevede espressamente che nel ricorso sia "indicata l'esistenza dei figli legittimi, legittimati od adottati da entrambi
i coniugi durante il matrimonio", sia perché emergerebbe comunque dalla documentazione anagrafica, sia infine perché il tribunale
(o le stesse parti, in caso di divorzio congiunto) dovranno affrontare la questione dell’affidamento e del mantenimento
della prole nata successivamente alla separazione (su cui il divorzio si deve fondare).
7)
LE ENTRATE CONSIDERATE REDDITO NEL DIVORZIO L'art. 6 l. divorzio prevede l'obbligo della somministrazione di un assegno
quando il coniuge (recte l'ex coniuge) non ha mezzi adeguati. L'ex coniuge obbligato deve per definizione avere mezzi adeguati,
altrimenti mancherebbe il presupposto fondamentale per l'erogazione dell'assegno. Quindi ai fini dell'attribuzione dell'assegno
la legge fa riferimento ai "mezzi" e non ai "redditi". Si tratta di una scelta legislativa da condividere, posto che il
termine MEZZI appare di portata più ampia del termine REDDITI. "Il reddito di entrambi" è posto invece tra gli elementi
che dovranno determinare l'entità dell'assegno. Per giurisprudenza costante, vanno ritenuti tra i “mezzi”
le sostanze ed i redditi e cioè i “redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità” (tra le tante v. Cass. 11490/90,). Sono
considerati nei “mezzi” i cespiti patrimoniali di cui i coniugi sono titolari, ivi compresi quelli direttamente
goduti, compresi anche quelli che, per le più svariate ragioni, non producono reddito: si pensi a beni mobili di rilevante
valore di mercato (come ad es. una collezione di quadri, monete, o anche soldatini di piombo) che, mediante la loro parziale
alienazione, ben possono soddisfare i bisogni del loro proprietario (Cass. 1322/89) Un interessante principio è stato stabilito
da una recente sentenza della Cassazione secondo la quale "Per la determinazione dell'assegno periodico di divorzio non è
sufficiente il raffronto tra la situazione reddituale delle parti, essendo necessario valutare anche la consistenza del patrimonio,
in particolare immobiliare, del beneficiario dell'assegno” (Cass. 12182/99)
Inoltre “le pensioni di ogni
genere e gli assegni ad essi equiparati” costituiscono per espressa previsione legislativa (art. 46, n. 2, d.p.r. 22
dicembre 1986 n. 917) redditi da lavoro dipendente. Solo le pensioni di guerra, che godono di una disciplina particolare
in considerazione della natura risarcitoria che le caratterizza, ne sono escluse. Un interessante quesito riguarda l'inclusione
dell’indennità di reperibilità oppure le indennità di rischi professionali specifici (come ad es. l’esposizione
a radiazioni) per il radiologo tra i redditi di riferimento per la concessione dell’assegno divorzile Lo specifico
quesito non risulta che sia mai stato affrontato dalla giurisprudenza. Ricordo che una sentenza della Suprema Corte del
1992 ha ritenuto che il giudice debba tenere in considerazione anche l'indennità di servizio all'estero attribuita ai diplomatici
anche se tale indennità non sia da considerarsi "retribuzione" Detta indennità configura infatti un'entrata patrimoniale
del destinatario (nel tempo di prestazione del servizio all'estero), della quale si deve tenere conto nella misura affidata
alla discrezionalità del giudice del merito (Cass. 8793/92) Tale principio potrebbe essere applicabile anche nel caso esaminato.. Pertanto
a mio parere, il giudice di merito può tenere conto delle due indennità, che comunque (anche se fossero considerate risarcimenti
forfettari di danni patiendi) configurano entrate patrimoniali del destinatario.
8) L’ESCLUSIVO
INTERESSE DELLA PROLE Pur risultando ovvia la necessità della presenza di entrambe le figure genitoriali ai fini del
miglior sviluppo psico-fisico della prole, in caso di dissensi tali tra i genitori da sfociare in una rottura del rapporto,
non sarà possibile proseguire quel rapporto ideale che comprende la contemporanea presenza dei genitori. La separazione
lascerà profonde tracce psicologiche nell’animo della prole, specialmente se si trova nell’età dello sviluppo. Occorre
cercare di salvare il salvabile, di creare i minori problemi al minore coinvolto: perciò la scelta del genitore riveste un
fondamentale interesse nella vita del minore e, in ogni caso, l'affidamento all'uno o all'altro dei genitori pone problemi
seri ed inemendabili. Purtroppo, il problema della scelta del genitore affidatario, che dovrebbe anche secondo il legislatore
essere vista nell’ottica dell’ESCLUSIVO INTERESSE DELLA PROLE, subisce nel nostro ordinamento varie distorsioni. 1)
Intanto, i genitori, che dovrebbero decidere lucidamente l’affidamento della prole secondo le loro esigenze, tenendo
conto dei loro desideri, della loro personalità e carattere, sono nella maggior parte dei casi in grave crisi personale, e
specialmente il coniuge “tradito” o comunque “lasciato” ha motivi di rancore o addirittura di odio
nei confronti dell’altro, che non di rado sta invece vivendo un romanzo d’amore vicino ad altra persona, insomma
una seconda giovinezza. In alcuni casi l'affidamento della prole viene vissuto come una rivincita, per cui anche inconsciamente
può diventare uno strumento di ritorsione o quanto meno di pressione psicologica verso l'altro coniuge. Così, paradossalmente,
i genitori, che sono le persone più vicine ai figli, accettano (e a volte chiedono) che sia il giudice (cioè un terzo, all’oscuro
della situazione), a decidere asetticamente quale sia il genitore da preferire ai fini dell’affidamento. 2) Inoltre
nelle nostre aule giudiziarie, la madre viene talmente favorita come genitore affidatario, da ingenerare la convinzione che
in caso di affidamento al padre debba sussistere qualche grave colpa da parte della donna. Perciò se il minore è affidato
al padre, nella mentalità delle persone s’ingerera la convinzione che la donna sia stata una cattiva madre. Per questo
motivo squisitamente psicologico, la donna non accetterà mai che la prole venga affidata pacificamente al padre. 3) Non
ultimo motivo è quello che lega l’affidamento all’assegnazione della casa coniugale, per cui non va sottovalutato
l’aspetto economico sottostante l’affidamento. In conclusione, la farraginosa procedura che porta alla separazione
dei coniugi comporta comunque momenti di sofferenza, di dolore, dovuti alla fine di un rapporto affettivo e di uno stabile
assetto anche logistico, che imporrà ad entrambi sacrifici economici e l’instaurazione di una vita diversa, coinvolgendo
anche la vita dei minori. L’unico auspicio per i separandi è quello di riuscire a ridurre al minimo tali traumi,
ricorrendo (anche se si trovano in un momento drammatico della propria vita) al buon senso, ed eventualmente all’ausilio
degli operatori del diritto
In conclusione, va detto che sussistono differenze interpretative e di comportamento nei
Tribunali italiani, ed anche nell’ambito di uno stesso Tribunale, relativamente alla misura dell’assegno di mantenimento.
Non vi è invece contrasto sull’affidamento della prole, posto che i giudici ritengono di privilegiare il rapporto del
figlio con la madre, tanto è vero che la maggior parte dei figli minori viene affidata alla madre, mentre l’affidamento
al padre risulta sempre un fatto eccezionale.
9) LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE STRAORDINARIE DELLA
PROLE Tra i genitori separati o divorziati, la suddivisione del pagamento delle spese straordinarie dei figli, è spesso
motivo di contrasti e liti. Ad una prima superficiale lettura (in modo particolare alla lettura della sola massima), il
principio stabilito dalla sentenza 4459/99 della Cassazione, che ha messo un punto fermo nella materia, sembra eccessivamente
punitivo nei confronti del genitore non affidatario. La citata decisione della Suprema Corte esclude infatti l'obbligo
di concordare le spese straordinarie ed afferma l'obbligo per il genitore non affidatario di concorrere al pagamento delle
spese straordinarie dei figli, senza il diritto di partecipare alle decisioni relative a dette spese. Ma a ben guardare,
la sentenza ha invece inteso ridurre l'autonomia decisionale del genitore affidatario. Tale autonomia viene, infatti, espressamente
limitata alle scelte che non riguardano le "decisioni di maggiore interesse" (quelle cioè che vanno ad incidere in modo determinante
sulla vita dei figli).
IN PRATICA Sulla ripartizione delle spese, i tribunali italiani
non seguono un orientamento comune. Tra i provvedimenti provvisori adottati dal Presidente del tribunale, IN PRESENZA DI
FIGLI, vi è sempre quello che stabilisce l'assegno di mantenimento a carico del genitore non affidatario: va però sottolineato
che quasi mai è prevista la suddivisione delle spese straordinarie. Poiché in seguito ai provvedimenti provvisori si instaura
tra le parti un procedimento ordinario, non è raro che la causa si trascini per anni prima di pervenire alla sentenza di primo
grado, che dovrebbe statuire anche sulle spese straordinarie, senza che nel frattempo su tale questione così rilevante sia
stabilito un punto fermo, con ovvie ripercussioni sull'aumento della conflittualità tra i genitori e conseguenze anche sulla
crescita armoniosa della prole. Alcuni Presidenti al momento dell'emissione dei provvedimenti provvisori ed urgenti, insieme
all'assegno di mantenimento, dispongono esplicitamente che entrambi i genitori provvedano al 50% delle spese straordinarie
dei figli annoverando tra queste quelle scolastiche, mediche e sportive, non specificando però se debbano essere concordate
o meno da entrambi i genitori. Anche questi provvedimenti non sono sufficienti per evitare contrasti tra i genitori. I
giudici più attenti alla problematica che stiamo esponendo (sia che agiscano da Presidente nei provvedimenti iniziali sia
nell'emissione della sentenza) emettono un provvedimento che esplicitamente afferma la necessità da parte dei genitori di
prendere di comune accordo le decisioni sulle spese straordinarie dei figli così come le decisioni di maggiore interesse,
e di provvedere al loro pagamento al 50%. Ancora meglio quando nel provvedimento si specifica che entrambi i genitori
sono tenuti al pagamento del 50% delle spese mediche non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale e di quelle scolastiche
(relative alla scuola pubblica), mentre tutte le attività sportive e le ulteriori esigenze culturali e di socializzazione
dei figli devono essere preventivamente concordate da entrambi i genitori e le relative spese vanno suddivise al 50%.
L'osservanza
della più totale parificazione dei compiti genitoriali, come anche della equa suddivisione delle spese, costituisce generalmente
il principale intento delle clausole predisposte allo scopo dai rispettivi legali, in vista della separazione consensuale. Appare
indispensabile, infatti, pervenire alla massima partecipazione possibile di entrambi i genitori alle decisioni relative alla
vita dei figli, ed all'assunzione dei relativi oneri. Si tratta di un auspicabile comportamento maturo e consapevole della
coppia genitoriale, che rimarrà tale (almeno) fino alla totale autonomia economica dei figli. In tale ambito sarà possibile
prevedere la partecipazione alle decisioni ed alla suddivisione delle spese straordinarie con la massima precisione possibile:
ci si affida, infatti, ad uno specialista della materia il cui scopo principale, oltre a quello di stabilire clausole di comune
gradimento al fine di non esasperare le liti tra le parti, è quello di pervenire ad una pacificazione degli animi e ad una
completezza di ipotesi che precluda possibili future liti, sempre in agguato, specialmente quando le clausole siano state
determinate genericamente. La maggiore sensibilità degli addetti ai lavori favorirà l'equilibrio della coppia, prevenendo
conflitti, che non potranno non incidere negativamente nella vita dei figli. Cerchiamo di metterci per una volta nei panni
dei figli e rendiamoci conto di quale livello di frustrazione debbano raggiungere, in un momento così importante del loro
sviluppo e dopo essere stati muti testimoni dello sgretolamento della famiglia, nell'assistere a continue discussioni tra
i genitori, ogni volta che esprimono il desiderio di partecipare ad una gita scolastica, o di praticare un'attività sportiva
o ricreativa: almeno questa umiliante mortificazione va loro evitata.
10) I RAPPORTI DEI GENITORI
CON I FIGLI NATURALI Preliminarmente va detto che, in ordine ai rapporti dei genitori con i figli, la posizione dei
figli naturali (nati nella famiglia di fatto) è equiparata a quella dei figli legittimi (nati dalla famiglia legittima), e
cioè quella i cui membri sono legati da vincolo di coniugio. Infatti l’art. 30, primo comma, della Costituzione
si riferisce esplicitamente anche ai genitori naturali :"E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i
figli, anche se nati fuori dal matrimonio ” L’art. 261 c.c., poi, prevede espressamente che "il riconoscimento
(cui va equiparato l’accertamento giudiziale della paternità o della maternità) comporta da parte del genitore l’assunzione
di tutti i doveri e di tutti i diritti spettanti nei confronti dei figli legittimi". Lo stesso può dirsi con riferimento
all'art. 147 c.c., secondo il quale viene imposto ai genitori "l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo
conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli". Per gli altri rapporti tra genitori e
figli naturali soccorre l'art. 30, terzo comma, Cost. che così dispone: "La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio
ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima" Per quanto riguarda l'affidamento
dei figli naturali, l’art. 317 bis c.c. dispone espressamente che la potestà sui figli naturali spetta al (o ai) genitore.
con il quale (o con i quali) i figli convivono. Anche se il giudice può disporre diversamente, nell’esclusivo interesse
del figlio. Il genitore non convivente ha solo il potere di vigilare sulla istruzione, educazione e condizioni di vita
del minore. GLI ACCORDI TRA I GENITORI NATURALI Gli accordi privati intercorsi tra i genitori naturali sono validi,
ma non possono diventare esecutivi. Ciò vuol dire che se gli accordi non sono rispettati, l'altro genitore non ha in mano
un provvedimento fornito di forza tale da renderlo esecutivo. Conviene comunque specificare per iscritto gli accordi, su
tutte le questioni; l'accordo potrà poi, in caso di successivo contrasto, essere preso in considerazione (quanto meno come
base dei futuri provvedimenti) dal Tribunale, peraltro non vincolato da tale scrittura. Ovviamente, in caso di mancato
rispetto degli accordi (orali o scritti che siano), l’altro genitore non potrà fare altro che adire il giudice per la
loro determinazione. Va ancora detto che qualunque accordo, come anche qualunque decisione del giudice in materia, va considerata
presa con la clausola REBUS SIC STANTIBUS, cioè allo stato attuale, ben potendosi (e anzi dovendosi) modificare gli accordi
in caso di mutamento delle circostanze. L’ENTITA’ DEL MANTENIMENTO DEL FIGLIO MINORE L’entità del
contributo al mantenimento da parte del genitore non affidatario è proporzionale al suo reddito (comprensivo di redditi da
lavoro e di redditi derivanti da proprietà mobiliari ed immobiliari) e deve tenere conto delle necessità del minore, quindi
va rapportato ai bisogni da soddisfare relativi alla sua età ed alle eventuali ulteriori specifiche esigenze. Su un reddito
di 1000,00 euro, ritengo adeguato per un minore di 2 anni e mezzo un assegno di € 300,00 euro. Il minore ha diritto
al mantenimento fin quando non sia divenuto economicamente indipendente, trovando un lavoro confacente con le proprie aspettative
ed il titolo di studio conseguito. In caso di mancato accordo sull’assegno, il genitore convivente dovrà proporre
presso il Tribunale civile competente un giudizio, che avendo carattere di urgenza, sarà trattato dal presidente del tribunale
(o da un giudice da lui delegato) e si esaurirà con un decreto avente efficacia immediata. In caso di disaccordo sul diritto
di visita o sulle sue applicazioni (come anche le compagnie che vengono imposte al minore), è invece competente il tribunale
per i Minorenni. Il genitore che ritiene lesi i diritti del minore potrà rivolgersi a detto tribunale come anche si potrà
rivolgere al Tribunale nel caso in cui i giorni e gli orari di visita siano stati stabiliti solo genericamente, e da tale
dizione ne siano sorti problemi di intrerpretazione tra le parti.. Il Tribunale, normalmente dopo una relazione sul minore
da parte degli assistenti sociali, dovrà provvedere (secondo le prospettate esigenze dei genitori, ad es. gli orari e gli
eventuali turni di lavoro del padre) tenendo in conto l’esclusivo interesse del minore e soprattutto la sua età ed i
suoi impegni scolastici. Se uno dei genitori non è d’accordo sulle frequentazioni del figlio con il partner dell’altro,
potrà chiedere al Tribunale per i Minorenni di inibire tali rapporti con estranei. Va però dimostrato il pregiudizio derivante
al figlio da tali frequentazioni. Da un punto di vista psicologico, va comunque affermata la necessità che il genitore
non affidatario frequenti la prole possibilmente senza l’ingombrante presenza di un proprio partner, per evitare che
il figlio provi sensazioni di abbandono oppure sentimenti di gelosia. La eventuale convivenza del genitore affidatario
con altro uomo di per sé non dovrebbe incidere sul suo rapporto con il figlio, ma la nuova situazione va preparata con cautela,
cercando l’accettazione del figlio, che dovrà pur sempre convivere con un estraneo che potrebbe secondo la sua psiche
in evoluzione togliergli l’affetto e le attenzioni della madre. Va anche detto che fino ad una certa età del minore,
si corre il pericolo, dormendo con il partner nello stesso letto, di farlo assistere, anche involontariamente, a rapporti
intimi che il bambino dovrebbe ignorare. LE MODALITA’ DI VISITA Può accadere che la separazione consensuale oppure
la sentenza di separazione non preveda in modo analitico le modalità di visita del genitore non affidatario ai figli minori. Quando
permangono eccessivi margini di discrezionalità o di interpretazione, è possibile che insorgano sul punto conflitti tra le
parti. In caso di contrasto insanabile, va affrontata un’apposita procedura dinanzi all'Autorità Giudiziaria chiedendo
una più precisa determinazione delle modalità di visita (giorni della settimana, orari, luogo di consegna e riconsegna del
minore, eventuale presenza di terze persone, possibilità di pernottamento ecc) . E’ possibile presentare un ricorso
dinanzi al giudice Tutelare del luogo, il quale potrà richiedere l'intervento dei servizi sociali. Oppure ci si potrà rivolgere
al Giudice del tribunale che ha pronunziato la separazione ai sensi dell'art. 710 c.p.c., evidenziando le difficoltà verificatesi. In
caso di mancato rispetto delle modalità di visita, si potrà chiedere l’esecuzione coattiva dei provvedimenti. con un
ricorso al giudice dell'esecuzione. Tale ricorso è esperibile con molta prudenza, potendo creare traumi al minore e possibili
difficoltà di relazioni con il padre.
11) LA COMPETENZA PER TERRITORIO NELLA SEPARAZIONE E
NEL DIVORZIO La competenza territoriale sia per il divorzio che per la separazione ( a seguito della art. 23 della
l. 74/87 ) è stabilita dal primo comma dell'art. 4 della legge sul divorzio (a seguito delle modifiche della stessa l. 74/87)
Secondo tale norma, IN CASO DI SEPARAZIONE CONSENSUALE O DIVORZIO CONGIUNTO la domanda può essere proposta al tribunale
del luogo di residenza o domicilio dell'uno o dell'altro coniuge. Altrimenti la domanda va proposta 1) al tribunale
del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio 2) al tribunale del luogo di residenza o domicilio del ricorrente,
nel caso di irreperibilità o residenza all'estero del convenuto 3) a qualunque tribunale della Repubblica Italiana, nel
caso di residenza all'estero di entrambi i coniugi.
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dell’Avv. Eugenio Mete, che ne aggiorna il contenuto.
PILLOLE DI DIRITTO CANONICO
IL MATRIMONIO NEL DIRITTO CANONICO
LA NULLITA' DEL MATRIMONIO CANONICO
GLI IMPEDIMENTI DIRIMENTI
I VIZI DEL CONSENSO
I VIZI DI FORMA
EFFETTI DELLA NULLITA' DEL MATRIMONIO CANONICO
IL MATRIMONIO NEL DIRITTO CANONICO La
migliore definizione del matrimonio secondo il diritto canonico è offerta da un giurista italiano: “Il matrimonio è
l’unione dell’uomo e della donna per formare una famiglia legittima. E’ un’unione stabile e duratura
per tutta la vita dei coniugi, sorta nelle forme e secondo le norme stabilite della legge, per il soddisfacimento dei loro
bisogni sessuali, per la procreazione, l’allevamento e l’educazione della prole, nonchè per la loro reciproca
assistenza. E’ una unione stabile e duratura, e come tale si distingue da qualsiasi altra unione transitoria, ed è una
unione che ha per fine la costituzione di una famiglia legittima, e perciò si distingue dal concubinato”. Questa
definizione contiene tutti gli elementi essenziali del matrimonio secondo il diritto canonico.
Secondo la dottrina
della Chiesa, il matrimonio è un sacramento che trasforma una situazione naturale in situazione di grazia (grazia santificante
e grazia sacramentale). In conseguenza della grazia sacramentale, il matrimonio canonico ha due caratteristiche intrinseche
ed essenziali: l’unità e l’indissolubilità (che hanno il loro principio teologico nella Bibbia: "saranno una sola
carne” ;“Quello che Dio ha unito, non separi l'uomo"). Come esplicitamente evidenziato dal can. 1055 &1
(Gesù Cristo ha elevato il matrimonio alla dignità del sacramento), il matrimonio (e quindi il consenso delle parti) è un’istituzione
naturale preesistente alla stessa venuta del Cristo. La conseguenza è che il matrimonio tra battezzati è sacramento, purchè
provenga da un valido consenso.
A causa del carattere sacramentale del matrimonio e dell' unità e l’indissolubilità
che ne costituiscono le sue carattteristiche essenziali, il matrimonio canonico non può sciogliersi validamente se non a causa
della morte di uno dei coniugi. Fanno eccezione le seguenti ipotesi: a) il matrimonio rato e non consumato;, b) il
favor fidei concesso rispetto al matrimonio tra due non battezzati per favorire la fede di chi si sia successivamente battezzato; c)
l’ingresso di uno dei coniugi nella vita religiosa, a condizione che l’altro non contragga nuove nozze.
Va
evidenziato che la nuova formulazione del can. 1055 &1, ha posto l’amore coniugale sullo stesso piano della generazione
e dell’educazione della prole. L’amore coniugale, ordinato per sua natura alla procreazione e considerata la
sua natura perpetua, esige la piena fedeltà della coppia e l’indissolubilità del matrimonio. Il matrimonio peraltro
come comunione di vita conserva il suo valore anche in mancanza di prole.
LA NULLITA’
DEL MATRIMONIO CANONICO La pronuncia di nullità evidenzia che il matrimonio, anche se formalmente celebrato, non è
mai stato valido, per mancanza di uno dei requisiti necessari o in presenza di impedimenti che hanno reso nulla la manifestazione
del consenso. Il matrimonio canonico può essere dichiarato nullo dai tribunali ecclesiastici, quando sussistono i motivi
di particolare gravità previsti dal codice di diritto canonico. Dalla dichiarazione di nullità discende l'inefficacia
del matrimonio dalla sua origine, come se non fosse mai stato celebrato.
GLI IMPEDIMENTI DIRIMENTI
Attengono a circostanze che rendono la persona inabile a contrarre un matrimonio. Se nonostante ciò, la persona si
sposa, contrae matrimonio invalido, salvo che nei casi in cui, quando sia possibile, abbia ottenuto la prescritta dispensa. Tali
impedimenti sono
a) L’ETA’ Secondo il can. 1083,1, per contrarre matrimonio, l’uomo deve aver
raggiunto l’età minima di 16 anni, la donna di 14. Si tratta di una nullità insanabile.
b) L’IMPOTENZA Deve
trattarsi di una incapacità a realizzare il coito (can. 1084.1). Per determinare la nullità del matrimonio, l'impotenza deve
essere certa, antecedente, perpetua, assoluta o relativa .
c) IL VINCOLO DI UN PRECEDENTE MATRIMONIO (can. 1085)
d)LA
DISPARITA’ DI CULTO (can. 1086) è il matrimonio tra un battezzato e un non battezzato ( ma è dispensabile)
e)
L’ORDINE SACERDOTALE (can. 1087) Ovvero lo stato clericale. Ha il suo fondamento nel celibato ecclesiastico. E’
dispensabile dal Pontefice.
f) IL VOTO O LA PROFESSIONE RELIGIOSA (can. 1088) l'avere fatto voto pubblico perpetuo
di castità in un istituto religioso. E’ dispensabile dal Pontefice.
g) IL RATTO L’impedimento tutela
la libertà di consenso della donna. Sussiste quando si rapisce o si trattiene una donna presso di sè, con l’intenzione
di contrarre matrimonio. L’impedimento è dispensabile, e quindi il matrimonio tra il rapitore e la rapita può aver luogo,
a condizione che la rapita, separata dal rapitore e posta in luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente il matrimonio.
h)
CRIMEN L'impedimentum criminis, previsto dal can. 1090, contempla due diverse fattispecie: riguarda chi, allo scopo di
contrarre matrimonio con una persona, uccide (anche a mezzo di sicario) il coniuge proprio o dell’altro; oppure coloro
che cooperano fisicamente o moralmente all'uccisione. La Santa Sede può concedere la dispensa, rarissima in caso di omicidio
pubblico.
i) PARENTELA La consanguineità (can. 1091): riguarda la linea retta e collaterale entro il quarto grado. L’affinità
(can. 1092), il vincolo di un coniuge con i consanguinei in linea retta dell’altro. La pubblica onestà (impedimentum
publicae honestatis) (can. 1093) sorge tra una persona e i consanguinei in linea retta dell'altra, a seguito di un matrimonio
invalido o di un concubinato pubblico o notorio; La parentela legale (can. 1094) sorge a seguito di adozione, in linea
retta, oppure in secondo grado della linea collaterale.
IL CONSENSO NEL CODICE DI DIRITTO CANONICO Il codice
di diritto canonico disciplina il consenso matrimoniale (e quindi regola anche le ipotesi di vizio del consenso) nei canoni
1095-1107.
IL CONSENSO MATRIMONIALE Il consenso delle parti rappresenta il requisito fondamentale del matrimonio
canonico. Il canone 1057 & 1 del codice di diritto canonico specifica che "Il matrimonio è costituito con il consenso
delle parti legittimamente manifestato tra persone giuridicamente capaci. Nessuna potestà umana può supplire detto consenso". Se
manca il consenso, seppure apparentemente manifestato, viene a mancare lo stesso matrimonio, la cui causa efficiente è appunto
costituita dal consenso delle parti.
L'OGGETTO DEL CONSENSO Deve essere diretto alla costituzione di una comunione
di vita, "per sua natura ordinata al bene dei coniugi ed alla procreazione ed educazione della prole" (come prevede il can.
1055 &1). I contraenti devono almeno sapere che il matrimonio è un consorzio permanente tra uomo e donna, ordinato
alla procreazione della prole, mediante la cooperazione sessuale tra i coniugi, come previsto dal can.1096& 1 del codice
di diritto canonico: l'ignoranza su tali elementi non si presume dopo la pubertà (can. 1096 & 2).
LA MANCANZA
DEL CONSENSO PER INCAPACITA’ Le parti devono prestare un valido consenso matrimoniale. Requisito essenziale per
la validità del consenso, è che provenga da una persona capace di intendere e di volere. Il can. 1095 distingue tre diverse
ipotesi in cui il soggetto contraente appare incapace di contrarre matrimonio:
a) per mancanza di un sufficiente uso
della ragione: Si tratta di un difetto che può dipendere da molte ragioni, permanenti come l’infermità di mente
e le psicosi, oppure transitorie come l’ipnosi, l’alcoolismo o l’uso di droghe.
b) per un grave difetto
di discrezione del giudizio relativamente ai diritti e ai doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente. Riguarda
le personalità caratterizzate da nevrosi gravi e psicopatie, come gli isterici, nevrastenici, paranoici, psiconevrotici, ansiosi,
oppure da immaturità psichica e dalla mancanza del senso della realtà,. Le manifestazioni di questi soggetti sono i disturbi
psicomotori e le turbe del comportamento.
c) per l’incapacità di assumere le obbligazioni essenziali del matrimonio,
per cause di natura psichica Mentre le prime due ipotesi riguardano l’atto soggettivo del consenso, e cioè il fattore
intellettivo che risulta alterato, questa ipotesi riguarda l’incapacità di assumere l’oggetto del consenso e quindi
l’impossibilità di adempiere l’obbligo che deve essere assunto. Si deve trattare di una incapacità perpetua ed
assoluta, collegata a situazioni di carattere psichico: tra gli esempi, in generale gli aspetti caratteriali e in particolare
l’immaturità psichica, le personalità border-line, i maniaci, le anomalie psicosessuali come l’omosessualità,
il transessualismo, la ninfomania, il narcisismo, il feticismo e le perversioni psicosessuali: insomma riguarda tutte quelle
persone incapaci di stabilire un rapporto interpersonale a fine matrimoniale. Tale incapacità rende invalido il matrimonio
perché il soggetto non è capace di assumere gli obblighi matrimoniali, e quindi anche nell’ipotesi che detto soggetto
abbia avuto la discrezione di giudizio sufficiente per un valido consenso. L’incapacità deve essere antecedente al
matrimonio e perpetua.
LA SIMULAZIONE DEL CONSENSO Il can. 1101 disciplina la simulazione del consenso. Si tratta
dei casi in cui la manifestazione esterna (ed apparente) del consenso non corrisponde alla volontà interna.
Il
codice di dritto canonico presume che il consenso interno sia corrispondente alle parole o ai gesti usati nella celebrazione,
ma si tratta di una presunzione semplice, che viene superata dalla prova contraria. La simulazione può essere bilaterale,
e quindi concordata, oppure unilaterale. In entrambi i casi presuppone UN ATTO POSITIVO DI VOLONTA’ espresso in foro
esterno. Perciò la simulazione unilaterale non può essere confusa con la riserva mentale, che rimane un atto interno, non
portato all’esterno. Nel caso in cui un coniuge abbia effettuato una riserva mentale, limitata all’interno
del proprio animo, ancorchè il matrimonio sia nullo in foro interno, l’ordinamento canonico non potrebbe mai dichiararne
la nullità, per mancanza di prove.
Il can. 1101 distingue le due ipotesi di simulazione totale o parziale del consenso. Dal
punto di vista teorico si tratta di una distinzione abbastanza semplice:. “Nella simulazione totale manca la volontà
di compiere il matrimonio, mentre nella simulazione parziale tale volontà c’è anche se tale da essere per così dire
contraddittoria con se stessa e finisca per mancare come vera e propria volontà matrimoniale” (Giacchi) Dal punto
di vista pratico, la conseguenza è sempre la stessa: in caso di simulazione, totale o parziale che sia, il matrimonio è nullo.
La parte anche se esprime all’esterno un consenso, non ha l’animo di obbligarsi. Dalla simulazione totale
o parziale va distinta la diversa ipotesi in cui una o entrambe le parti esprimano il consenso al matrimonio ed alle sue caratteristiche
essenziali, avendo però la semplice intenzione di non adempiere in futuro se ne capiterà l’occasione, agli obblighi
assunti, in particolare quello della fedeltà. In tale caso, l’intenzione non riguarda la formazione del consenso,
ma l’esecuzione, e non incide quindi sulla validità del matrimonio. Come anche nel caso in cui venga espresso il
consenso sullo scambio dei corpi ai fini degli atti di per sé adatti alla procreazione, ma poi nella pratica, per i più svariati
motivi, si posticipi nel tempo la possibilità di mettere al mondo figli, ricorrendo a mezzi contraccettivi. Anche in tale
caso, si avrebbe un errato uso del diritto (e corrispondenti obblighi), non incidente però sulla formazione del consenso.
La simulazione totale avviene quando una parte con atto positivo di volontà esclude lo stesso matrimonio.. Nella
casistica, va fatto riferimento al soggetto che si sposa esclusivamente per un fine diverso dal matrimonio, escludendo espressamente
il consortium di tutta la vita con l’altro, è il caso, ad esempio, del matrimonio contratto per evitare il servizio
militare. Si può anche simulare a causa di una particolare perversione d’animo del contraente, che esclude positivamente
la dignità sacramentale del matrimonio tra cristiani. . La simulazione parziale avviene quando una parte, sebbene voglia
il matrimonio, escluda uno o più dei Bona matrimonii e cioè il bonum prolis, il bonum fidei o il bonum sacramenti. L’ESCLUSIONE
DEL BONUM PROLIS comporta l’esclusione del diritto agli atti coniugali, temporaneamente o per sempre. Chi esclude
tale diritto, deve concepire i rapporti sessuali sempre con l’uso di contraccettivi o simili, o comunque deve sottrarsi
agli atti coniugali idonei alla procreazione. Non viene meno tale vizio nel caso di nascita di prole avvenuta per errore,
o eventualmente in stato di ubriachezza. Le cause dell’esclusione sono le più varie: normalmente sono date dal desiderio
di vivere una vita libera, dalla mancanza di amore verso l’altra parte o dal desiderio di non legarsi per tutta la vita,
all’avversione verso i bambini, oppure dal timore della nascita di un figlio deforme. L’ESCLUSIONE DEL BONUM
FIDEI Comporta la negazione con atto positivo di volontà del diritto esclusivo agli atti coniugali. Deve essere escluso
l’obbligo della fedeltà: il comportamento successivo al matrimonio (ad esempio con varie relazioni extraconiugali) non
costituisce prova di tale esclusione. Tra le cause dell’esclusione citiamo la presenza al momento del matrimonio
di una relazione con altro/i partner/s (magari presente/i alla celebrazione) al/ai quale/i non si intende rinunciare, per
mancanza di amore verso l’altro coniuge, oppure perché si considera il libertinaggio come un diritto irrinunciabile. L’ESCLUSIONE
DEL BONUM SACRAMENTI Si tratta dell’esclusione dell’indissolubilità, che costituisce una proprietà essenziale
del matrimonio. Se un soggetto con atto positivo di volontà vuole contrarre un matrimonio dissolubile, contrae un matrimonio
nullo. Poichè l’indissolubilità attiene alla stessa essenza del matrimonio, al contrario delle ipotesi sopra esaminate,
relative agli altri Bona, nell’esclusione dell’indissolubilità non si può distinguere tra l’obbligo ed il
suo adempimento, il suo uso cioè non conforme al diritto scambiato. I casi di esclusione dell’indissolubilità sono
generalmente un matrimonio di prova, oppure il riservarsi la possibilità di divorziare, in caso di fallimento del matrimonio. Tra
le cause dell’esclusione, ricordiamo: una concezione narcisistica della vita, oppure una visione molto laica del matrimonio.
Tra
le cause dell’esclusione di tutti i Bona considerati, si accompagna quasi sempre la previsione della cattiva riuscita
del matrimonio e la mancanza di amore verso l’altra parte.
ESCLUSIONE DELLA DIGNITA’ SACRAMENTALE Si
contrae matrimonio nullo se viene positivamente esclusa la dignità sacramentale, ossia l’esplicito e formale rifiuto
della dottrina della Chiesa in relazione alla sacramentalità del matrimonio.
IL MATRIMONIO SOTTO CONDIZIONE Non
si può contrarre validamente il matrimonio con una condizione futura, una condizione cioè apposta relativamente ad un evento
futuro e incerto, al quale la persona abbia voluto legare, con atto positivo di volontà, la validità del matrimonio. Alcuni
esempi: “il matrimonio che oggi celebriamo avrà valore se erediterai da tuo padre un immobile” oppure “Il
matrimonio sarà valido se conseguirai la laurea”. Se si riuscirà a provare l’apposizione della condizione in
epoca antecedente alla celebrazione, il matrimonio verrà dichiarato nullo.
Il matrimonio celebrato sotto condizione
presente o passata sarà invece valido o no a seconda che la condizione si verifichi o meno. Ad esempio: “il matrimonio
sarà valido solo se sei vergine”.
LA VIOLENZA = LA FORZA FISICA E’ una costrizione materiale che toglie
la volontà. L’esempio classico è quello di far esprimere il consenso matrimoniale con una pistola puntata contro. Ovviamente
tale comportamento violento toglie ogni libertà di consenso.
IL TIMORE = IL TURBAMENTO DELL’ANIMO Si tratta
di una pressione psicologica, una coazione morale, per liberarsi dalla quale una persona è costretta a scegliere il matrimonio. Pertanto
sussiste un consenso matrimoniale, che viene dato appunto per liberarsi dal timore, ma la volontà non è libera. Il can.
1103 prevede espressamente la necessità del concomitante concorso di quattro requisiti, ai fini della nullità del matrimonio. Il
timore deve insomma essere GRAVE PROVENIENTE DALL’ESTERNO ANCHE SENZA RIGUARDARE IL MATRIMONIO SENZA CHE
SI POSSA TROVARE ALTRA SOLUZIONE
I VIZI DEL CONSENSO Ricapitoliamo sinteticamente i
vizi del consenso, secondo la normativa positiva prevista dal codice di diritto canonico, che si riferisce alle seguenti ipotesi
-- la mancanza di un sufficiente uso della ragione; .. il grave difetto di discrezione del giudizio circa i diritti
e doveri matrimoniali; -- l'impossibilità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica;
-- l'ignoranza sull'essenza del matrimonio; o -- l'errore sulla persona o su una qualità essenziale e sostanziale
del coniuge; -- l'errore, indotto con inganno (dolo) su una qualità dell'altra parte che per sua natura può turbare in
modo grave la comunione della vita coniugale; -- l 'errore di diritto sulle proprietà essenziali del matrimonio o sulla
sua dignità sacramentale, ma esclusivamente nel caso in cui determini la volontà -- l'esclusione del matrimonio oppure
di una delle sue finalità essenziali (la fedeltà, l'indissolubilità del vincolo e la procreazione) -- il matrimonio sotto
condizione futura; -- la violenza fisica ed il timore grave provocato dall'esterno.
I VIZI
DI FORMA
Ricordiamo che gli sposi sono i soggetti della celebrazione. Il sacerdote che assiste e recepisce le loro
volontà è solo un teste qualificato. Il diritto canonico prevede varie forme di celebrazione del matrimonio (tra quelle
in via eccezionale, elenchiamo il matrimonio per procura; il matrimonio segreto; il matrimonio in urgente pericolo di morte;
il matrimonio davanti ai soli testimoni, in caso di pericolo non urgente di morte oppure se vi è la impossibilità della presenza
dell’ecclesiastico competente per almeno un mese). Ordinariamente, perché il matrimonio sia valido, deve essere celebrato
davanti al Vescovo competente per territorio, oppure davanti al parroco, nel suo territorio, o ad un sacerdote da questi delegato,
alla presenza di due testimoni. In caso di mancanza di delega preventiva, il matrimonio è nullo.
EFFETTI
DELLA NULLITA' DEL MATRIMONIO La dichiarazione di nullità del matrimonio canonico inficia la validità di tale matrimonio
sin dalla sua origine e cancella il vincolo coniugale come se non fosse mai esistito (con il divorzio invece viene dichiarato
lo scioglimento degli effetti civili di un matrimonio valido, sia esso religioso o civile). La pronuncia definitiva del
tribunale ecclesiastico viene trasmessa al Tribunale della Signatura Apostolica che ai fini del riconoscimento ne cura la
trasmissione alla competente Corte d'Appello. La Corte d'Appello pronuncia l'efficacia in Italia della sentenza dichiarativa
della nullità del matrimonio, che verrà annotata presso i registri dello stato civile. La sentenza ecclesiastica di nullità,
resa esecutiva con la delibazione, consente di celebrare un nuovo matrimonio in chiesa avente effetti civili.